25 set 2013

DISSOLVENZE. Una fiaba d'ogni giorno.

Photo by Pierperrone


La cella ha le sbarre, la porta, le pareti, fredde e dure, lisce e viscide.
Un senso di nausea, come una corrente elettrica, attraversa le dita, che scivolano via, sdrucciolando, sull'untuoso rivolo nero del tempo che cola fin sul pavimento e si rapprende, denso e oleoso, in una pozza fetida.
E dall'estremità dei polpastrelli punta diretta, quel malessere intimo, sul cuore.
Le mani s'allargano.
E si fanno piazze.
E le braccia, sterminate, s'allungano.
Sono binari che infilano, diritti, l'infinito....
E il torace?
I polmoni?
Il cuore?
Montagne.
Caverne.
E poi paludi.
Finchè, il gran fiume rosso della vita non irrompe, impetuoso e forte e, vittorioso su ogni resistenza, redime la paura, l'angoscia, la disperazione...

Ecco.
E allora si sentono le pareti granitiche e certe che si fanno polvere secca, si sgretolano, consumandosi fino a farsi sottili, esili, immaginarie...
E finalmente svaniscono.
Anche dal ricordo.
E dalla memoria.
Le porte cominciano a sbattere rabbiose.
Dure e terribili sembrano mosse  da una tempesta ululante e impetuosa.
Invisibile e sorda.
E le sbarre , si vede, si fanno lente, docili, molli.
Lacci.
Fettucce.
Nastrini.
Odorosi, profumati, inebrianti.
Testimoni di segreti legami.
Intrecci.
Grovigli.
Nodi stretti, che grazie ai rossi flutti che mareggiano nel corpo, possono stringersi come un cappio intorno al collo o sciogliersi come giuramenti vani.
A piacimento.

Così, sotto l'attenzione acuta dei sensi, gli spasmi della rossa marea che si gonfia e si sgonfia sulle rive del nostro mare compiono il miracolo.
La cella, che pure ci aveva accolto, protettiva, e nutrito, materna, col suo latte opaco e amaro, pian piano, oppure d'improvviso, non sempre si sa, s'amplia, s'allarga, sconfina...
Le sbarre, nere, lucide e ghiacce, s'allungano, corrugano, s'intiepidiscono e, bagnate dal pianto che il cielo riversa generoso sulla terra, germogliano gemme sugose che s'offono, bagnate e aperte, ai baci caldi dell'amore.
Al cavaliere solitario, fulgido e luminoso, che attraversa di corsa la piana illimite che si sovrasta.
Le porte si fanno praterie.
I cardini, che furono cesoie che recidevano i fili della nostra libertà, si fanno solide colonne del nostro tempio.
E la serratura, che un giorno c'imprigionò legandoci indissolubilmente al nostro destino, si fa decisione, certezza, assoluta promessa che non si muta più in tradimento.
Carezza eterna alla nostra anima sparuta.
E le pareti, infine, trasmutano in oceani immensi, vastità celesti, profondità cosmiche...
Scie infinite brillano sotto la luce lunare.
Sono le navi che attraversano quei sargassi.
E su quelle viaggiano i nostri spiriti leggeri, liberati, finalmente, dal peso dell'essere, del tempo, dell'inizio e della fine...

E finalmente siamo!
Siamo Natura.
Tutto.
Eterno.
Infinito.
Non più, spazio, ci contiene.
O limite, confine, dimensione, misura, numero, calcolo, regola, legge...
Tutto, in noi, sconfina.
E, quel Tutto, la cella del nostro Essere contempla, rimira, racchiude, controlla, governa, domina...
Come una nuova prigione da infrangere, il viaggio della nostra esistenza ci trasporta verso noi stessi.
E noi stiamo lì.
Sulla riva del nostro mare rosso.
Al confine di noi stessi.
Insicuri.
Incerti.
Ansiosi.
Ad attendere.
Per salutare.
L'approdo.
Per decidere.
Tardi.
Infine.
Arbitri.
Del Tutto.
La rotta.

2 commenti:

  1. Come mi piace questo finale... E ho sempre più l'impressione che viviamo in due mondi paralleli, quello reale e quello nostro, intimo, diversi tra loro fino all'assurdo eppure così strettamente legati. E' una nascita sì, quel momento in cui non so nemmeno io come descrivere quel che succede. Una nascita che avviene realmente e che poi continua, in qualche modo, per tutto il tempo della nostra vita. Moriamo e rinasciamo mille e mille volte. Ogni volta forse un po' diversi, a volte in meglio, a volte in peggio. A volte ci chiediamo perchè e malediciamo quella rinascita, a volte ci sembra che sia una fortuna....Così...sempre in bilico, perennemente in uno stato di precarietà. Mai sicuri di niente, mai con una strada finita...
    Abbraccione.
    P.S. Grazie dell'opera completa. Rillegendola così, sicuramente un filo conduttore si evidenzia, pur essendo racconti a sè stanti

    RispondiElimina
  2. Moriamo e rinasciamo mille e mille volte... Mai sicuri di niente, mai con una strada finita...

    Ho ripreso queste tue due frasi, mettendole insieme, che danno il senso del tuo pensiero.
    Che è il mio, anche.
    Ma con una sfumatura diversa, se mi permetti, amica mia.

    Nascere e morire possono dare l'idea che siano due momenti distinti e separati.
    Come se non fossero la stessa cosa, in fondo, in questa nostra esistenza.
    Nascere può dare l'idea che qualcosa viene fuori dal nulla perchè prima non c'era e, quindi, per esistere, a un certo punto, quella cosa, quella vita, diciamo, deve prima nascere.
    Possiamo vederla così.
    Anzi, in genere la pensiamo così.
    (Adesso non discuto questo concetto, mi limito solo a dire che, poi, in realtà, non veniamo fuori da niente, ma eravamo già migliaia e migliaia di anni fa e che per un'infinita ramificazione di parentele ed incroci, i nostri A ed E - Adamo ed Eva concettuali - hanno generato e progenerato fino a noi senza che quella catena do aminoacidi si sia mai interrotta. Ecco, se pensiamo alla catena degli aminoacidi noi non nasciamo.
    E allo stesso modo non moriamo.
    Ma qui non lo voglio discutere questo).

    Voglio soltanto precisare una cosa, sulla quale sono certo che sarai d'accordo, ed io voglio solo rimarcarla, sottolinearla, per esserne d'accordo ancora più consapevolmente.
    Qui nascita e morte sono la nostra esistenza stessa.
    Cioè, qui parliamo solo del dissolversi di ogni nostra identità in qualcosa di sempre diverso.
    L'identità, diciamo così, potrebbe essere la cella, la prigione.
    La dissolvenza è la morte di quell'identità.

    Ecco, quella che tu chiami precarietà, allora, il parallelismo dei mondi di cui parli (che sarebbero identità multiple e che non si itersecano mai), la vita e la morte, sono invece la nostra condizione naturale.
    Una condizione che, a ben guardare, è miracolosa, se ne abbiamo coscienza, perchè è il contrario dell'incoscienza animale, che non può fermarsi su nulla, ma solo su un presente indefinito e mutevole.
    Ed è anche una ricchezza inestimabile.
    Perchè è come vivere in un viaggio perenne... senza dover mai pagare un biglietto, o prenotare un posto, o cercare un posto in albergo...

    E' un'esistenza che non conosce barriere, ostacoli, steccati, confini...
    E' la nostra eternità.
    E, d'altronde, amica mia, questa parola eternità, che senso ha?
    Come DIO - di cui si parla molto sui giornali, adesso - quella, l'eternità, non muore con me quando io un giorno morirò?
    (A meno di non tener conto della catena infinita degli aminoacidi, che è un'altra forma di eternità e che di lì si associa all'immortalità. Ma te l'ho detto non è argomento di discorso, qui.
    E ti spiego perchè.
    Il post qui sopra l'ho scritto ieri pomeriggio.
    Ho avuto la fortuna di poter passare un pomeriggio a spasso per la città, tra Caravaggio, fontanelle, Trinità dei Monti, Villa Borghese...
    E lì, a Villa Borghese, dove qualche volta mi fermo a leggere, se ho tempo, ieri pomeriggio mi sono fermato un'oretta o forse più.
    Ho letto un pò. Ottima musica nell'auricolare.
    Poi ho preso il quadernetto e mi sono appuntato il post.
    Ecco, lì, la condizione era che la mia solita cella, il Giardino degli aranci dell'Aventino, racchiuso dietro un'inferriata, un cancello e due pareti, il Giardino delle fate, come lo chiamo, non è ... sprofondato verso dimensioni ulteriori...
    Ma s'è aperto.
    perchè nella Villa Borghese, cancelli, inferriate, pareti, ostacoli, non ce n'erano...
    E il mio essere ha potuto... fare il viaggio che ho descritto.
    Ecco.
    Allora, poichè parlo di un'esperienza tuttas... finisca, diciamo, tutta in vita, prendo in esame solo questo punto di vista, quello dell'esistere.
    Anche se esso vuol dire ... tutto quello che ho già detto sopra).

    Infine, un grande grazie, Pat!
    Sei generosissima con me.
    Sempre.
    Un bacio
    (ma prima di salutarti ti chiedo se a te tutto va bene. Non scrivi più sul blog. Mi manca. ma se è una tua scelta per me è ottima!)

    Piero

    RispondiElimina

I commenti sono graditi