26 lug 2013

VOCE NELLA NOTTE

Johann Heinrich Füssli - Lady Macbeth with the Daggers


"Si sente la mia voce?"
Eh?
"Ehi, dico, si sente la mia voce?"

Dal fondo del buio mi spaventa un richiamo.
Un'eco si spande concentricamente e pare asfissiarmi.
Mi manca il respiro.
Un suono.
Una voce.
Qualcuno.
"C'è qualcuno?"
Anche la mia voce si spande.
Ora.
Si addensa il buio, intorno alla mia voce.
Si condensa anche il concetto del tempo.
Lento e urticante.
I secondi si dilatano.
Si fanno eterni battiti che s'accavallano, tumultuosi.
Rintocca, fesso, il silenzio profondo della coscienza.
E' rimasto imbottigliato nel sonno.
Invischiato in inaccessibili vortici rutilanti.
Si dissolvono i sogni in tortuose volùte, alte e fuliginose.

C'è qualcuno, forse.
Penso grevemente, sprofondando nel buio pesto della paura.
Si coagula il pensiero, gocciolante sorpresa, sgomento, timore, paura.
Agghiacciandomi il sangue, l'oscurità mi circonda.
Alzo lo sguardo perso nel nulla che sovrasta.
E' un'immensa cattedrale spettrale.
Intravedo le sue guglie, altissime, levarsi verso il cielo infinito.
Le sue volte, oceaniche, s'allargano verso l'orizzonte sperduto.
In quella densa, terrorizzante, inconsistenza dello spazio, sento d'esser perduto.
La stanza intera, con me e la mia vita, è sprofondata nella notte.

D'un tratto, dalla finestra, sbarrata, dai protettivi bastioni degli scuri serrati, affiora una fioca lingua di luce.
E' una vampa, fredda e incolore.
Liquida, arde lungo la superficie oleosa della tenda.
Sembra di sentire il suo passo esitante.
Incerta, s'affaccia allo specchio appeso sul muro.
Lama affilata, si pianta sulla parete di fianco.
Sporta sul baratro senza barriere, il vuoto, oscuro e umiliante, la sospinge, impazzito, d'improvviso, con sovrumana forza mostruosa.
La catapulta a velocità incalcolabile contro l'oscuro muro infinito schiacciato sulla parete di fronte.
In un battibaleno, la lama baluginante saetta nel buio.
L'intera stanza, nella quale sono imprigionato nel letto, è nascosta nel buio.
Tutto è immobile, in attesa, sospeso.
Muta desolazione, disperata.
Una cella.
Una gabbia.
Sole quella lama di luce.
Che rifulge.
Un filo di coltello affilato.
Che non rischiara il denso buio profondo.
Un'illuminazione così non basta a rischiarare le tenebre.

Annego in quel mare.
Le tenebre, scavate da quell'artiglio affilato, si son fatte ancor più spaventose.
L'orrido volto del buio sembra solcato da una ferita inguardabile.
Vittima d'una efferata violenza brutale.
Una ferita che mi lacera gli occhi, appena spalancati di scatto.
Il cuore, spaventato batte impazzito.
Il cupo richiamo che proviene dall'abisso saturnino in cui è sprofondata la stanza lo scuote.
Vuole fuggire.
Scappare.
Si butta all'impazzata in una corsa sfrenata.
Sussulta.
Sfinito, freme, stremato.
Singhiozza.
E, ora, ancora schiuma fremendo, inseguito da mille incubi neri.
Poi s'inabissa, nello sconfinato sconforto.

Povero cuore!
S'è quasi fermato.
Guardandosi intorno spaurito e disfatto, non è sfuggito all'agguato.
Il lenzuolo sudato, è umido, livido, madido, fradicio, ormai.
E' un sudario.
Lo scarto, con un gesto violento.
Ed io, nudo, immobile, resto!
Mummia denudata alla mercè dell'orrore.
Ciechi occhi scavati.
Legnosi muscoli tesi.
Un morto.
Riportato alla vita da un misterioso, oscuro, richiamo.

Che cosa, in definitiva, poi, ha mai detto quella voce d'inferno?
Quali sono state le parole precise?
Una voce è un suono, qualcosa.
Deve pur appartenere a qualcuno.
Si, ecco.
Era qualcuno.
Uno.
Nessuno.
Sembrava parlare.
Chiedeva...
Implorava...
Gemeva... piangeva...
Qualcosa voleva, forse, sapere.
Da me?
Petulante, fastidiosa, importuna.
Non era stata ricacciata laggiù?
A marcire nel fondo del nulla, nell'ombra più nera del buio?
S'era, forse, all'ultimo istante, disperatamente afferrata all'ultimo lembo stracciato d'evanescente coscienza? Non era piombata nel vuoto assoluto del dimentico oblìo?

Quella voce non ha nessuna certezza.
Non ha una prova.
Non sa neanche di esistere
Ed io... 
Io mi sforzo di trovare un varco nell'incoscienza, nell'ipnotico rutilare dei sogni.
Cerco un appiglio nel fantastico mondo notturno.
E quello, screanzato, vuole sfuggirmi ancora una volta.
Resiste, testardo.
Dannato.

Ed io...
Un naufrago disperato nell'abissale oceano notturno.
Allungo nel vuoto il mio dito proteso nel nulla.
S'è inabissata la stella polare che arde fissa lassù.
Il braccio, esterrefatto, si getta all'inseguimento del dito.
La mano, disperata, palpita strenui singulti senza trovare un appiglio.
M'afferro alla zattera che fluttua, lontana ...vicina ...
Disfatto, cerco di prendere sonno.
E sto lì, sul confine di quel mare di sogni sargassi...
Che agogno ogni sera!

Disgraziatamente, però, mi sono impigliato.
Non riesco a nuotare.
Resto attaccato all'estremità della treccia spinosa di neri capelli che sprofonda nella liquida afa d'una notte d'estate.
Tra me e me, a lungo, questiono sull'incerta evenienza dell'esistenza d'una voce che possa restare intrappolata nel buio.
E' un'eventualità improbabile.
Un'instabile precarietà dubitativa.
Così, però, è vero, lo vedo, le concedo una benchè dubbia possibilità d'esistenza.
E' una debolezza.
L'estrema perdita della coscienza.
La maledizione.
Un maleficio m'ha còlto.
E' stata questione d'un attimo.
Non l'ho, subito, effettivamente negata!
Allora, forse, è vera realtà e si nasconde laggiù.
Un bocca profonda.
Una gola assetata che aspetta il mio sangue.
M'immagino i suoi denti affilati.
Sprofondo nei suoi tenebrosi occhi che inghiottono il vuoto.
Nella stanza non resta più niente...
Non c'è più nulla da attendere.

Forse non sono stato lesto abbastanza, nell'ultimo gesto d'igiene serale...
Oppure non ho fedelmente eseguito le rituali abluzioni per purificare lo spirito ed il corpo...
Ho recitato con animo puro le litanie che invocano il sonno?
Le orazioni che preludono al rassicurante rito d'esser deposto nella frescura setosa de letto?
Si devono celebrare le esequie del giorno defunto, prima di spegnere gli occhi.
Oscurare lo sguardo.
Sbarrare la via alla luce.
Si deve essere puri.
Mondarsi d'ogni peccato.
Solo così essi sono ammessi dinanzi dinanzi all'altare degli abbaglianti fulgori notturni.
... Con meticolosità devota devo indossare la notturna clamide candida.
Devo prendere i voti sacrali.
Far giuramento di morte.
Ecco...
Ora son pronto.
Ora si celebra il sacro rito incantato.
Mi vien consegnato il fiammeggiante scettro del regno dei sogni!

Ora son vecchio.
Stanco.
E canuto.
Mi osservano spenti occhi allo specchio.
A passo di carica assaltai la distanza che conduce alla conquista del trono.
Con affondi feroci sconfissi le resistenze nemiche.
A trionfale passo di marcia gustai il dolce sapore della vittoriosa conquista.
E volli vedere, sapere, conoscere...

E sempre più in là. 
Sempre più oltre spinsi le mie misere truppe impaurite.
Fin nel regno notturno degli incubi infèrni.
Ma ormai mi sono addentrato in territori troppo lontani.
Mi sono già avviato verso la fine.
Verso gli oscuri territori inesplorati del tempo incosciente.
Ho dato le consegne agli attendenti fedeli.
Ho posto vigili sentinelle di guardia ad ogni angolo di quest'questo orizzonte infinito che si perde nel buio.
Sono pronto, ormai, stanco, disfatto.
Son giunto alla fine.
Son qui.

"Voce!"
"Son qui!"
"Ecco. Mi vedi? Son venuto a sfidarti. Son pronto a sedermi sull'ultimo trono potente che non è stato ancora conquiso.
Sul tuo scranno, demonio!"
"Ecco.
Mi senti?
Sono il signor della notte...."

Ecco.
E' quella voce, ancora.
E' caduto il baluardo estremo del mondo invisibile.
Deve aver approfittato di qualche fessura della coscienza.
Un evidente, codardo, vile, tradimento vigliacco.
Io l'avevo incatenata nella cella più fonda.
Ma lei, piagnucolosa e strisciante, s'è fatta sentire anche di là.

"Ehi, laggiù, la mia voce si sente?"
Eh?
"Si, voi, là, nella notte, la mia voce si sente?"
Cosa mai ...

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