17 mar 2013

CARO FRADELLO - Solfeggio n. 4

da: http://www.iltaccoditalia.info/


Questa è solo una parte della mia storia, quella che viene da mio padre... qualche altra volta, se ne avrò modo, racconterò quella che viene da mia madre...

Caro fradello...
Cominciavano sempre così le lettere di “zio Peppino” al fratello. 
Parlo di zio Giuseppe, zio Peppino, il fratello di mio padre che tanti anni fa, chissà, forse alla fine degli anni sessanta, o era già nei settanta, non lo so, non mi ricordo, comunque era tanti anni fa, emigrò dal suo paese, nel profondo sud, un paesello nella provincia di Lecce, San Donato, si chiama... 
Da lì era partito, per salire fino al profondo nord, fino alla città di Torino... 
Là era la città della fabbrica, la città della Fiat. 
Era così, allora.
Era così già allora...

Prima di lui anche zio Carmine era salito al profondo nord.
Un altro fratello.
Questo era il fratello maggiore, il più grande.
Se n'era andato via anche lui, come l'altro, come anche mio padre, se n'erano andai via tutti con la valigia piena, carica di sogni e piena di speranze...
Qualcuno di loro nella valigia si portava anche la famiglia...
Zio Peppino e  zio Carmine ... tutti e due emigrati nella stessa città e... nella stessa fabbrica.
Li ho sentiti raccontare, qualche volta, tanti anni fa, nelle sere d'estate d'allora, quando noi scendevamo al paese, noi, la famiglia di mio padre, emigrato a Napoli e poi rintanato a Benevento, partito con la valigia, anche la sua una valigia piena di sogni e carica di nostalgia...
Li ho sentiti raccontare la loro vita, la vita in fabbrica, la vita in città.
La vita, per loro, era in città, non in paese...

Cosa raccontavano precisamente?
Cosa provavano davvero?
Io sinceramente non mi ricordo più le parole esatte, ma ricordo bene le loro voci, che sembravano morire sulle labbra, che lasciavano le gole secche come le terre rosse dei campi distesi al sole, che dovevano essere continuamente bagnate dal buon vino rosso d'uva piccolina... 
Io li stavo a sentire ma non riuscivo a capire bene cosa dicevano... un pò era colpa del dialetto stretto stretto, un poco era l'età, la mia, intendo, ancora troppo acerba...
Quando invece... sono entrato nell'età per capire ... per loro ormai s'era fatto tardi. 
Ma mi ricordo bene il senso dei discorsi che facevano.
Ormai se n'erano ritornati giù al paese, ormai erano delusi e stanchi, si, delusi e stanchi.

Zio Peppino era stato assunto a Torino ma poi s'era fatto trasferire a un'altra fabbrica, a Brindisi, o forse Taranto, non me lo ricordo più tanto bene, era l’ILVA, o forse la FINSIDER... se ne parla ancora, ogni tanto le sento nominare ancora in televisione. 
Poi, più tardi, zio Peppino era stato pensionato.
Zio Carmine, anche lui, era andato anche lui a Torino, anche lui alla FIAT...
Ma poi lui se n'era ritornato direttamente a San Donato, per godersi la pensione ... ma poi la lunga malattia ... e infine la nuda terra d'origine...
La vita in fabbrica di cui parlavano, nelle sere calde d'estate, giù al paese, quando non li capivo neppure bene... ecco, la vita in fabbrica doveva essere più o meno questa qui ...ritmi, follie frenesia...


O forse era quest'altra, elettricità, turni e alienazione...



Molti, allora, la cantavano pure quella vita.... mi ricordo uno che la cantava così...



Un ingranaggio.

Un ingranaggio così assurdo e complicato
così perfetto e travolgente.
Un ingranaggio fatto di ruote misteriose
così spietato e massacrante.
Un ingranaggio come un mostro sempre in moto
che macina le cose, che macina la gente
sì, sì anch’io!
Sì, anch’io…

….

Gaber parlava dell’ingranaggio...
Che cos'è mai, poi... un ingranaggio?
Mi sembra ovvio, l'ingranaggio è la ruota dentata, il meccanismo il moto, il movimento, la macchina, la fabbrica, il lavoro dell'uomo... 
L'ingranaggio è ... la forza sovrumana del braccio meccanico, la mano articolata che stringe forte e spinge e spinge e spinge ancora e  che solleva... la mano che non conosce stanchezza ... il braccio che non ha bisogno di pause... si, insomma, il super-eroe, il lavoratore super-uomo. 
L'ingranaggio è la più piccola parte del tutto che si eleva alla massima potenza! E' la più alta concentrazione della forza, è l'uomo che si eleva al di là della sua dimensione temporale, è... è l’industria-meccanica tutta quanta, è l’intero apparato tecnico-scientifico...
Si, l’ingranaggio, in realtà è un'immensa metafora, un mistero cosmico...
Si, l'ingranaggio è la metafora di un grande mistero.

L'ingranaggio, in questa metafora, è una scintilla, la scintilla che fa scoppiare la bomba più potente. E la bomba più potente è la bomba umana, quella che scoppia quando s'innesca la  scintilla, quando l'ingranaggio si mette in moto...
La scintilla, si, l'ingranaggio, insomma, è una spoletta, un innesco. L’ingranaggio, quando si mette in movimento produce effetti imprevedibili. Ogni esplosione produce effetti imprevedibili...
E' l'inimmaginabile, l'imprevedibile forza che si sprigiona quando la bomba esplode, la bomba più potente, la bomba umana...
Dice Gaber: l’ingranaggio è perfetto, travolgente, spietato e massacrante. 
Giusto. 
E infatti l’ingranaggio è un mostro sempre in moto, che macina le cose ... che macina anche la gente...

L’ingranaggio è una ruota dentata, un'affilata putrella, una talpa meccanica, un bilanciere ben equilibrato, una corona che s'innesta allo scappamento d’un orologio che batte eterno  l'infinito tic-tac del tempo...
L'ingranaggio è l'unità elementare che innesca la potenza universale dell'eterno movimento....
L'ingranaggio è l'individuo, perfetto e travolgente, spietato e massacrante...
L'ingranaggio e l'individuo ben inserito in società. E’ l'operaio, l'emigrante, il povero cristo che lavora dall'alba fino al tramonto, che brucia nel calore dell’officina ardente ed infuocata... E' il dio Vulcano, che batte il suo martello, il dio del fuoco, degli ingranaggi, delle fabbriche, che comanda alla materia... 



L'ingranaggio è un pescatore, un aviatore, un astronauta... 



Il pescatore. L’aviatore. L’astronauta. Gli elementi, l'acqua, l'aria, il fuoco...
La potenza che fabbrica i miracoli è anche la potenza che cannibale e affamata ...




Gli elementi.
L'acqua, l'aria, il fuoco ... e poi la terra...
Zio Peppino e di zio Carmine se n'erano scappati dalla rossa terra aspra che chiede mille sforzi per esser coltivata ... 
Erano partiti ... erano più o meno gli anni 70 ... sono tornati una ventina d'anni dopo... 
Qualche figlio loro era rimasto lassù, in città, a Torino, per sempre sù al nord... nelle lettere a mio padre si parlava anche di loro ... 
Caro fradello, ti racconto… 
Cominciavano tutte così.
E chissà cos'altro raccontavano... forse dei giorni che passavano, dei sogni che andavano e venivano, come i sogni di tutti gli emigranti ... delle fatiche dure e delle mani che alla sera facevano tanto male, e delle lunghe sere e dei figli, a casa, che crescevano sempre troppo in fretta, e i sacrifici, i sacrifici sempre troppo duri, la dolcezza degli amori e le tristezze delle madri... e i soldi, sempre troppo pochi, che correvano via veloci, sempre più veloci della crisi, sempre in agguato, la vigliacca, sempre lentissima ad andar via... e con la crisi, gli straordinari che svaniscono, il lavoro che scompare, la cassa integrazione e i sacrifici... i sacrifici... sempre più ardui e duri... che vigliacca questa crisi, guarda come tende i suoi vili agguati ...
Ma forse chissà, in quelle lettere forse si parlava anche delle speranze enormi del domani, delle mille idee colorate, del desiderio di un mondo più bello e giusto e forse degli scioperi e  delle lotte, del sole che sorgeva e dei tramonti lenti, dietro quella triste nebbia nebbia, là, sù al nord ...





Ma da qui si prende un'altra strada...
Qui comincia un'altra storia.
Da qui si potrebbe incominciare a raccontare un'altra  parte della mia storia, un'altra storia, un altro racconto, ma pur sempre la mia storia, il racconto della mia storia che viene da mia madre...

4 commenti:

  1. Sai, questo tuo racconto inizia in modo intimo, una storia di uomini, uomini come tanti,
    tanti che se ne andarono in quegli anni, attirati da una possibilità. Già...una possibilità...Io non so,forse per qualcuno lo è stata davvero, forse per altri si è trasformata dopo anni, in un pentimento. Il tuo racconto poi, prosegue in un'altra direzione, diventa riflessione, come ormai ci hai abituato con i tuoi scritti e quell'ingranaggio di cui parli, diventa un qualcosa a doppio senso, a tratti strumento di sopraffazione, a tratti invece sembri quasi vestirlo di un potere di rivalsa, di conquista, di possibilità altra.
    E' sempre l'ingranaggio che determina tutto.

    Siamo tutti ingranaggi di qualcosa, ma tutti possiamo diventare ingranaggi di qualcos'altro. Questo mi sembra il senso del tuo racconto.

    Un'altra considerazione mi sento di fare: vorrei che ci ricordassimo di queste storie, dei nostri emigranti di un tempo e ritrovassimo i loro visi nei visi di chi oggi è emigrante in questa nostra terra.
    E' vero, la generazione di cui tu parli, emigrava non in un'altro paese, ma si spostava semplicemente da una zona all'altra del proprio. Eppure quante umiliazioni subivano ugualmente? Non siamo stati capaci di accoglienza allora, e non lo siamo nemmeno oggi. Io che vivo in una zona in cui la paura e il rifiuto del diverso è radicata ed è stata ancor di più fomentata in questi anni, credimi...lo so...e non sai quanto questo mi pesi dentro.
    Un abbraccione

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  2. Cara Patrizia,questa storia è parte della mia storia. La storia di ognuno di noi è come un fiume, alimentato da mille affluenti. Qui si parla di uno, o due, di quei rami che zigzagano nella terra, sotto, da qualche parte, dentro di noi.

    Il racconto è in relazione al seminario che sto facendo quest'anno; stiamo elaborando dei testi e vedremo se ne verrà fuori qualcosa di costruttivo. Il tema è "biografie del lavoro" e perciò ho scelto questo tema così diretto, intimo.

    La storia mia, mi sono reso conto, ho voglia di raccontarla.
    Prima o poi continuerò con le pillole autobiografiche.
    Mi sono visto allo specchio della mia anima (passami il modo di dire) ed ho visto che i rami del mio albero sono lunghi, storti, s'intrecciano mille volte con mille luoghi diversi. E anche le radici vengono da lontano e vanno ancora più lontano...
    Per questo la voglio raccontare, perchè ... il fiume porta i suoi racconti di lontano sempre più lontano...

    L'ingranaggio.
    Cara Patrizia, l'ingranaggio è una ruota coi denti che s'aggancia ad altre ruote e meccanismi.
    Le forze di quell'abbraccio meccanico sono attive e passive, spingono e sono sospinte...
    Noi siamo una rotella di un ingranaggio cosmico... ma siamo anche il centro di un ingranaggio spirituale.
    L'ingranaggio muove le forze e le moltiplica.
    Rome, spezza, macella...
    A volte siamo noi a muovere l'ingranaggio.
    A volte restiamo impigliati in quella macchina...
    L'hai detto benissimo tu, ed io ho sprecato tante parole: Siamo tutti ingranaggi di qualcosa, ma tutti possiamo diventare ingranaggi di qualcos'altro.

    L'accoglienza, la solidarietà, l'ospitalità.
    Non farti cruccio più di tanto del razzismo che circola dalle tue parti, circola anche qua e anche altrove.
    Il benessere dove è arrivato ha cancellato la memoria, che, evidentemente non funziona con chi ha la pancia piena.
    Adesso anche la crisi morde e provoca dolori, altri dolori ed altre sofferenze.
    Io continuo a credere in un mondo migliore, perchè conosco te e il tuo cuoe, i tuoi sentimenti, la tua coscienza. E come conosco la tua, conosco quella di altri che hanno lo stesso cuore e gli stessi sentimenti.
    Siamo molti.
    Non siamo un errore della natura.
    Almeno, non credo sia così.
    Siamo noi a decidere se vederci come errori del proprio tempo, oppure se essere fieri di quello che siamo.
    Io sono molto presuntuoso, cara amica mia.
    Sono proprio fiero, veramente orgoglioso di quello che sono, di quello che penso, di quello che provo.
    E tu, mia cara Patrizia?

    Un abbraccio,
    Piero

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  3. Essere fieri di come siamo, sicuramente sì, essere fieri e consapevoli anche dei nostri limiti e dei nostri "dell'egoismo sdrucciolo che abbiamo tutti quanti" per dirla alla Guccini. La fierezza credo consista anche in questo. Sapere di avere dentro qualcosa di buono ma sapere anche che il "qualcosa d'altro, di diverso e non troppo nobile" può sempre prendere il sopravvento anche in noi. Fierezza quindi di saper distinguere il bene dal male e di lottare ogni giorno per cercare di fare in modo di non far vincere la parte che di noi, ci piace meno. Fierezza di essere fragili, fierezza di essere coscienti dei nostri errori, di saperli individuare e di provare a superarli.

    Strana riflessione mi è venuta...boh...!Non c'entra molto col tuo discorso, me ne rendo conto ora, ma ormai l'ho scritta...

    Sai questo tuo racconto mi fa venire la voglia di scrivere la storia di mia madre, potrebbe rientrare nel contenitore "biografie del lavoro" Non ne so moltissimo, lei non ne parlava molto volentieri, ma forse, quel poco che so potrebbe bastare. Mah, chissà...
    Un abbraccione

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  4. Essere fieri di come siamo, sicuramente sì, essere fieri e consapevoli anche dei nostri limiti e dei nostri "dell'egoismo sdrucciolo che abbiamo tutti quanti" per dirla alla Guccini. La fierezza credo consista anche in questo. Sapere di avere dentro qualcosa di buono ma sapere anche che il "qualcosa d'altro, di diverso e non troppo nobile" può sempre prendere il sopravvento anche in noi. Fierezza quindi di saper distinguere il bene dal male e di lottare ogni giorno per cercare di fare in modo di non far vincere la parte che di noi, ci piace meno. Fierezza di essere fragili, fierezza di essere coscienti dei nostri errori, di saperli individuare e di provare a superarli.

    Strana riflessione mi è venuta...boh...!Non c'entra molto col tuo discorso, me ne rendo conto ora, ma ormai l'ho scritta...

    Sai questo tuo racconto mi fa venire la voglia di scrivere la storia di mia madre, potrebbe rientrare nel contenitore "biografie del lavoro" Non ne so moltissimo, lei non ne parlava molto volentieri, ma forse, quel poco che so potrebbe bastare. Mah, chissà...
    Un abbraccione

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