9 gen 2013

PILLOLE AUTOBIOGRAFICHE (4)



Che anno, che anno fu il 1975!
Che musica, che canzoni, che melodie, che armonie...
Tutto si librava alto nell'aria e tutto vibrava forte... 
Tutto era scosso dal mondo che girava forte...
O forse quelle scosse eravamo solo noi che stavamo crescendo, era il mondo, il mondo che si stringeva attorno a noi che diventavamo ogni giorno più grandi ...





Nel 1975 tutto mi sembrava pervaso di energia, di elettricità, di forza, di vita, di ideali, di gioia, di entusiasmo, di amore, di timore, di desiderio, di voglia, di possibilità, di alternative, di rivoluzioni ...
L'amore bussava alle mie porte, forse era la prima volta, avevo solo 16 anni, ed ancora non avevo imparato  niente, di quell'estranea creatura che portava fibrillazioni forti, palpiti, sussulti, brividi, ardori, rossori, timidezze, tremori, pallori e silenzi, tanti inspiegabili silenzi, tante esitazioni, tanti rinvii, tante sciocche attese, tante inutili fantasie...
Eh, questa canzone di Venditti porta con sè ancora quel sapore, quel calore, quei toni ... 
Ancora oggi quei ricordi hanno una consistenza fisica, una chimica materiale, una carnale sensazione di struggente nostalgia, una reazione della pelle, un'eccitazione delle papille gustative, una tempesta di stimoli sensoriali che riporta in vita sapori e odori che sembravano morti, accenti e apostrofi che sembravano ormai sepolti in vecchi diari smarriti, perduti tra le tante case che ho abitato da quel lontano 1975...
Nel 1975 De Gregori pubblicava uno dei suoi ellepì più belli.
Ce lo godiamo, adesso, tutto.
Youtube fa i miracoli.
Il viaggio nel tempo ci riporta a quell'anno fatidico...





... E qualcosa rimane...
fra le pagine chiare e le pagine scure...
Non è l'inizio di una profezia?
Un oracolo che ti svela la verità.
Il vaticinio preveggente di chi ti anticipa come sarà la tua vita che, come la vita di tutti, è una pagina chiara ed una pagina scura, una rete in cui restano impigliati i ricordi, quei pezzi di vetro su cui camminiamo ogni giorno, come il pianista di piano bar che ognuno di noi è diventato, nella vita, da adulto mai cresciuto veramente...
Io non lo capivo davvero, a quei tempi, cosa voleva dire Francesco De Gregori, con i suoi versi melodici, misteriosi ma fascinosi, romantici e taglienti, suadenti e aspri...
Non potevo capirlo perchè non avevo ancora neanche capito la vita.
E, in verità, non posso neppure dire di averla capita davvero, dopo. 
Quel mistero resta volubile e capriccioso, un seno caldo e generoso a cui ci nutriamo con voluttà, ma che non vuole essere svelato. 
Pudicizia o maestria d'amore?
Non so dare una risposta neanche oggi, anche se gli ormoni sono maturati e le foglie hanno cominciato a ingiallire...
Ma nel 1975 ero ancora troppo acerbo per tutto questo.
Dovevo ancora maturare.
Ancora !
Eppure quella musica era come un raggio di sole sulla peluria, rada ancora, invero, della pesca verde che ero, attaccata al suo ramo come un figlio a quel seno materno...

Nel 1975 avevo 16 anni.
In quegli anni si formava anche la mia coscienza.
Io sono stato molto fortunato.
In quegli anni, nel 1975, l'aria era piena di fermenti.
Quei fermenti erano contagiosi, infettivi ... erano diffusivi, pervasivi, invasivi...
Non esisteva un reparto dove segregare veramente  quelle malattie infettive.
E senza quarantena, io restai subito contagiato.
Devo ammetterlo, non sono guarito mai più. 

Nel 1975 era possibile sbagliare strada.
In quegli anni non esisteva ancora il GPS, il navigatore satellitare, Google maps, lo smartphone che ti guida, che ti mostra la direzione.
Oggi c'è sempre qualcosa che ti porta, t'indirizza, ti impedisce di sbagliare e ti corregge anche, paziente, se tu, testardo, insisti e insisti ancora a sbagliare...




Nel 1975 si poteva ancora sbagliare strada.
La cattiva strada stava dietro ogni angolo.
Ognuno di noi, giovani vite che sulla strada si formavano, nel groviglio delle strade che ci si aprivano davanti, si perdeva.
Era una grande ricchezza avere tante strade davanti.
Era una ricchezza ancora più grande avere la possibilità di provare, provare a scegliere, provare e rischiare.
Provare e sbagliare.
Fallire a volte.
Ma subito dopo rimettersi in piedi e ritentare, inossidabili nella nostra cocciutaggine.
E riprovare e poi cercare e poi ancora rimettersi in gioco e poi, ancora, e ancora ... e ancora ... e ancora...
Era una vera ricchezza che alcuni, troppi, sciupavano.
Purtroppo, per troppi, l'errore finì per essere fatale.
La morte aleggiava su quegli anni, lungo quella cattiva strada.
La morte che prendeva le forme di mostri che si nascondevano nelle ombre  oscure, che ci terrorizzavano...  e che, pure ... anche ... ci attraevano.
Mistero della seduzione, in torno a noi si svolgeva l'orgia delle droghe, della violenza, del terrorismo...
Mostri che ci circondavano, ci tendevano agguati, ci decimavano...
Eppure mostri con i quali amoreggiavamo di nascosto, soggiocati dalle trine maliziose in cui si perdevano i nostri sensi... e, come schiavi vinti dal desiderio, molti si davano alla cieca voluttà del perdersi, del dissolversi nel nulla...
Ma, nonostante la cupio dissolvi di troppi, i più ... erano davvero i più forti... 
Noi, che siamo tra quei più, volevamo un mondo migliore e ce lo volevamo prendere.






Nel 1975, ci facevamo molte domande.
Le domande nascevano come le foglie sui rami, come i fiori che volevamo mettere nei nostri cannoni...
Molte domande erano nell'aria.
Perchè è con le domande che si fa la rivoluzione.
Così, dico io.
Anzi, io dico, la rivoluzione è fare le domande, farsele, tutte, anche quelle  più scomode.
Le domande rompono gli equilibri.
L'equilibrio delle regole e quello delle leggi.
Le leggi e le regole della fisica e quelle del potere.
Le domande sono la rivoluzione.
Non le risposte.
Chi cercava risposte, in quegli anni, spesso poteva restare abbagliato, confuso, ingannato, tradito...
Perchè così sono, sempre, le risposte.
Tradimenti.
Tradimenti alla purezza della libertà.
Lei, la libertà, non ama lo stabile equilibrio delle abili risposte.
la libertà si nutre dell'incerta precarietà delle domande.
Chi cerca le risposte è disposto ad accontentarsi.
Gli basta una visione parziale.
Chi fa la rivoluzione, invece, vuole allargarsi l'orizzonte.
Si sente costretto se resta chiuso in una visione parziale.
E chi vuole allargare l'orizzonte, pone domande.
Pier Paolo Pasolini, per esempio, poneva domande.
E' importante che desse risposte a quelle domande?
Poteva essere esatte, potevano mai essere esatte, le risposte a quelle domande?
Ancora oggi non abbiamo risposte per quelle domande. 
La nostra storia non le ha.
Ma quelle domande sono la rivoluzione.
Sono il precario equilibrio, l'instabile, zoppo, traballante equilibrio di questa povera Italia che ancora oggi s'accontenta di mancate risposte.
Quelle domande sono il piano inclinato su cui vive, in perenne altalena, questo povero popolo che si fa bastare le risposte di un tecnico, buono come un idraulico, di un imbonitore, affidabile come un oracolo, di un affabulatore qualunque ...  bravo a recitare ogni sera un copione diverso sul palcoscenico di ogni città?
Comunque, il 2 di quel 1975 Pier Paolo Pasolini smise di fare domande.
Lo fecero smettere per sempre.
Facevano paura, le domande, perchè la rivoluzione fa paura.
Chi lo uccise?
Importa forse la risposta?
Non basta forse la domanda?

7 commenti:

  1. A volte le domande fanno più paura della rispostya, porre la domanda e se non sai rispondere...o stai zitto o più facilmente menti.
    Ciao Piero.

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  2. Eh sì,begli anni quelli... belli e terribili, ma vivi! Vivi di idee, di sogni ed illusioni. Lo dici bene caro amico, in questo scritto che, non mi vergogno a dirlo, mi ha fatto venire i brividi. Perchè quelli, anche per me, sono stati forse gli anni più belli della vita. Nel '75 iniziava appena l'adolescenza che camminava dentro in tutto quello che poteva far esprimere il meglio di quell'età. Il nostro meglio veniva nutrito da quel fermento, nel bene e nel male. Ma certo...abbiamo anche rischiato grosso...però...mio dio... che orizzonti potevamo respirare!
    Non m'importa se qualcuno penserà "ecco, la solita vecchiotta che sospira "ai miei tempi..." No, non m'importa, perchè bisogna essere realisti e il mondo è cambiato e sono cambiati anche i giovani. E siamo cambiati anche noi. In molte cose abbiamo rinnegato quello che eravamo,abbiamo abdicato. in altre ancora siamo come dei piccoli Peter Pan e ci portiamo dentro l'immagine di quei ragazzi. In fondo, non siamo mai riusciti a staccarcene del tutto, non sono riusciti a indurci nell'oblio in modo completo. L'adoloescenza è un'età meravigliosa, in fondo è un po' come quegli anni: il meglio e il peggio, luci abbaglianti e ombre oscure. Abbiamo vissuto la nostra adolescenza. nell'adolescenza del mondo. Poi in parte il mondo ci ha fatto crescere ma ora ce ne stiamo qui, fermi un passo indietro da esso, come piccoli Peter Pan, chi più, chi meno, chi in una direzione, chi in un'altra, ma sempre un passo indietro al mondo.

    Belle le canzoni che hai scelto, quella di Venditti non l'ascoltavo da una vita. E' una delle poche sue che mi piacevano (perdonami...ma non era uno dei miei preferiti :-) Per contro ti lascio questa :-)
    Ciao!

    http://youtu.be/rAfm0xzVB9A



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  3. scusa...non ha preso il link. non ho capito perchè :-(

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  4. Cara Paola, io, lo sai, non sono quello delle risposte.
    Ad ogni risposta mi si aprono davanti altre mille domande ... perchè in ogni cosa c'è tanto da scoprire, e il viaggio che conduce alla scoperta di isole sconosciute varca la soglia della meraviglia ...

    Paura delle risposte?
    Mentire di fronte ad una domanda?
    ...
    Le risposte possono anche fare paura, lo so.
    E' una lotta continua.
    Ma tutta la vita è una lotta continua per continuare ad essere noi stessi.
    Se fa paura la risposta, fa paura la vita.
    Mentire, allora?
    Si può, certo.
    Perchè si può mentire anche di fronte alla vita, di fronte a se stessi, di fronte alle domande che vivere ci pone.
    Ma non è necessario.
    E, in ogni caso, quelle menzogne non danno piacere.
    Tanto meno il piacere della meraviglia.
    In questo sono uno che ama il piacere smodatamente.
    Magari potevo scegliere un altro tipo di piacere, più materiale, più carnale, più fisico...
    E invece mi ritrovo questo...
    Difetto di fabbrica.
    Ma, temo, la garanzia ormai è scaduta.
    Sarà per la prossima volta...

    Un abbraccio,
    Piero

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  5. Mia cara Patrizia,
    per prima cosa credo che siano proprio gli anni di quella giovinezza ad avere un sapore speciale.
    Non si tratta solo di quel 1975, certo, anche di quello.
    Ma prima di tutto è quell'età del corpo e dello spirito, è quel miracolo di primavera acerba che sboccia, dolorosa ed improvvisa, inebriante e fugace...

    Mi fa piacere che i brividi ti abbiano percorsa tutta.
    Perchè vuol dire che qualcosa di vive c'era davvero in questo scritto, fatto di qualche nota musicale e di qualche nota della memoria.
    Le due cose pare che si stimolino a vicenda.
    Io provo questo, in queste... pillole.
    Scopro che la musica agisce come uno stimolante... un afrodisiaco, passami il paragone un poco esagerato.
    Ma la musica ha la funzione di fare agire la chimica più profonda del corpo. Come certi odori.
    Quella chimica del corpo mi fa sentire certi... brividi, certi sapori, mi riempie la bocca, il naso, le vene della stessa aria che bevevo allora.
    Certe volte il mio corpo viaggia nel tempo.
    Non solo o non per forza ... con l'aiutino della musica.
    Spesso, più spesso succede come un imprevisto...
    Una luce particolare, un suono, un odore... o addirittura qualcosa di ancor più inafferrabile, un intreccio di sensazioni, un nodo di pensieri, un inestricabile groviglio di inconsci sussulti...
    E, quando accade, il mio essere, intero, fisico, materiale, viaggia indietro nel tempo.
    Come in una trance paranormale, sento attraverso il corpo di allora, di quel tempo che non è più, sento, nel vero senso (nei veri sensi!) della parola...
    Questo, se ho capito bene, sono riuscito a metterlo in questo piccolo scritto e tu l'hai fatto tuo, sentendolo con la tua anima sensibile.
    Ne sono contento e ti ringrazio.
    Sei un'amica.
    Sei sensibile e per questo sei un'amica dell'anima.

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  6. Il 1975, quegli anni straordinari.
    Ho capito una cosa, a proposito di quegli anni (forse, ho capito, forse, non ti preoccupare, non voglio seminare certezze).
    Abbiamo avuto una fortuna incredibile, noi, ad aver vissuto quel tempo là.
    Non si tratta di nostalgia, di tenerezza del ricordo, di rimembranze vane...
    Non, cara Patrizia.
    Si tratta di aver avuto la fortuna di vivere un tempo in cui l'intensità della vita è stata più profonda che mai.
    Me ne accorgo quando vedo che quelli venuti dopo, i ragazzi di oggi, per esempio (non tutti, a dire al vero, anzi, neanche, per dire, la maggioranza di loro... ma neanche noi eravamo una maggioranda di quelli di allora...), restano catturati da quell'energia di allora...
    Erano anni di FEDE. Non la fede in una sovrannaturalità salvifica, certo salvatrice ma ingannevole, ingannatrice e subdolamente straniante...
    No, cara amica mia, era la FEDE nell'uomo, era la FEDE in quello che l'uomo può fare per cambiare il mondo, cambiare il corso della storia, diventare autore del libro del proprio destino.
    Come si dice: volevamo cambiare il mondo...

    Non ci siamo riusciti.
    Questo è vero, Patrizia.
    Ma - e questa è un'altra cosa che credo di aver capito - neanche noi, allora, eravamo una maggioranza.
    Eravamo quelli che avevano un'anima speciale, chiamiamola così.
    Molti non ce l'avevano, e quelli erano comunque i più.
    E, per giunta, molti di quelli che come noi avevano un'anima speciale ... ecco, per molti quell'anima è scaduta, si è perduta, è evaporata...
    E si sono trovati insieme a tutti quegli altri, insieme con quella maggioranza che credeva che il benessere, la materialità del potere, della carriera, della ricchezza, del successo, potesse bastare a farne dei vincitori, dei conquistatori del mondo, degli uomini veri, pieni, felici...
    Ed hanno, invece, dovuto scoprire, loro malgrado, che altro non erano che avatar inconsistenti, vacue ombre, apparenze intermittenti...
    Piangono, quelli, piangono mentre passano i giorni apparecchiando il proprio funerale, piangono davanti al proprio fantasma, piangono e almeno piangere li fa sentire in qualche modo vivi, perchè neanche quel pianto è vero.
    Il loro vuoto rimbomba sordo. E tremano all'idea di udire il rimbombo stonato di quel vuoto...

    Noi non siamo fatti così.

    Un bacio,
    Piero

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